Sabato 22 aprile si è celebrato l’Earth Day 2023. Numerose iniziative si sono tenute nelle più importanti città del mondo per celebrare la Terra e diffondere conoscenza riguardo al cambiamento climatico in atto e all’impatto che la nostra società ha sul nostro pianeta. Ma qual è lo stato del clima globale nel 2022?
A rispondere a questa domanda è stata la World Metereological Organization (WMO), che proprio un giorno prima dell’Earth Day ha pubblicato il suo annuale report sul clima globale, lo State of the Global Climate 2022. La risposta, però, come purtroppo preventivato, non è esattamente positiva.
La WMO utilizza sette differenti indicatori per monitorare e descrivere il cambiamento climatico: la composizione dell’atmosfera, i comportamenti di terra, oceani e ghiacciai, gli eventi metereologici estremi, i rischi e le possibili azioni da intraprendere.
Ecco i principali risultati.
Il cambiamento climatico nell’atmosfera
Il report 2022 riscontra un sostanziale equilibrio nelle concentrazioni atmosferiche dei gas serra tra emissioni derivanti da attività umane e non. Come noto, l’aumento delle emissioni di gas serra derivanti da attività umane rappresenta una delle principali cause del cambiamento climatico e anche per il 2022 i dati indicano che queste hanno continuato a crescere.
I principali gas serra presenti nell’atmosfera sono l’anidride carbonica, il metano e il protossido di azoto, che nel 2021 (ultimo anno di cui sono disponibili attualmente dati completi) hanno fatto registrare valori record.
- La concentrazione atmosferica di anidride carbonica (misurata in parti per milione – ppm) ha raggiunto un valore di 415,7 ppm ± 0,2, ovvero il 149% dei valori preindustriali.
- La concentrazione di metano (misurata in parti per miliardo – ppb), un gas serra 25 volte più potente dell’anidride carbonica nell’intrappolare il calore nell’atmosfera, ha raggiunto il valore di 1908±2 ppb, equivalente al 262% dei valori preindustriali. Un incremento di 18 ppb rispetto all’anno precedente, il maggiore mai registrato.
- La concentrazione di protossido di azoto (ppb) ha fatto registrare il valore di 334,5±0,1 ppb, pari al 124% dei livelli preindustriali.
Le emissioni di metano provengono sia da fonti umane che naturali. In particolare, le zone umide sono tra le principali fonti naturali e andranno monitorate, specialmente quelle tropicali, per comprendere meglio i cambiamenti nei gas serra e poter adottare strategie più efficaci per mitigare l’impatto sul clima globale.
Gli effetti sulla terraferma del cambiamento climatico
L’aumento delle emissioni e della concentrazione dei gas serra nell’atmosfera comporta inevitabilmente un aumento della temperatura superficiale media globale (GMST), che viene misurata usando una differenza rispetto a un periodo di riferimento della combinazione di temperatura dell’aria sulla terraferma e temperatura della superficie oceanica.
La temperatura del pianeta nel 2022 è stata più calda di 1,15 ± 0,13 °C rispetto alla media preindustriale (1850-1900). Questo significa che gli ultimi 8 anni sono stati i più caldi mai registrati.
Un elemento fondamentale per determinare le variazioni di temperatura annuali è dato dal fenomeno chiamato El Niño/La Niña Southern Oscillation (ENSO). Questo consiste nella presenza di fluttuazioni di temperatura della superficie della parte centrale dell’Oceano Pacifico. In particolare, in presenza di El Niño si hanno temperature oceaniche più calde, mentre con La Niña più “fredde”.
Nonostante il 2022 sia stato caratterizzato principalmente da condizioni di La Niña, è risultato essere comunque il quinto anno più caldo mai registrato. Come evidenziato dal grafico di seguito, anche in presenza di anni caratterizzati prevalentemente da La Niña, la tendenza è inevitabilmente diretta verso un aumento delle temperature.
Come il cambiamento climatico influenza le condizioni di mari e oceani
Circa il 90% dell’energia in eccesso accumulata dalla Terra a causa dei gas serra finisce negli oceani, che hanno proseguito la tendenza al riscaldamento anche nel 2022. Cosa comporta questo direttamente?
- Sbiancamento dei coralli: molto sensibili alle variazioni di temperatura, i coralli rappresentano una protezione per le coste dalle tempeste e dall’erosione e creano interi ecosistemi, servendo anche come fonte di nutrizione.
- Innalzamento del livello del mare: riscaldandosi l’acqua si espande, contribuendo all’innalzamento del livello del mare insieme allo scioglimento delle calotte e dei ghiacciai. Anche nel 2022 il livello globale del mare si è alzato, seguendo il trend registrato con altimetri satellitari negli ultimi trent’anni, che vede un innalzamento medio di 3.4 ± 0.3 mm all’anno.
- Acidificazione degli oceani: è una conseguenza diretta dell’aumento della concentrazione di CO2 prodotta dall’uomo, che per il 25% viene assorbita dagli oceani, fornendo un parziale sollievo per i cambiamenti climatici. Questo ha però un prezzo. L’aumento dell’acidità mette infatti in pericolo ecosistemi, sicurezza alimentare legata alla pesca e protezione costiera legata alla presenza di barriere coralline. Più il ph del mare diminuisce, e quindi aumenta l’acidità, più la capacità di assorbimento di CO2 diminuisce. Il ph dei mari è in costante calo, con tassi di diminuzione mai visti negli ultimi 26mila anni.
La situazione della criosfera
Per la maggior parte del 2022, l’estensione del ghiaccio artico è stata inferiore alla media sul lungo termine. In particolare, a Settembre le rilevazioni satellitari hanno mostrato un’estensione di 0,71 milioni di km2 inferiore alla media. Per quanto riguarda invece l’antartico, il 25 febbraio 2022 si è registrata l’estensione più bassa di sempre con 1,92 milioni di km2, quasi 1 milione di km2 al di sotto della media, un trend rimasto costante per tutto l’anno.
Anche per la calotta glaciale della Groenlandia il bilancio della massa totale è stato negativo. È il ventiseiesimo anno di fila.
La situazione per i ghiacciai non è stata migliore.
Da quando il World Glacier Monitoring Service monitora l’evoluzione del bilancio di massa dei ghiacciai nel mondo (1950), questo valore è stato in calo praticamente ogni anno. Le sole eccezioni si sono verificate nel 1955, 1964, 1965, 1983 e 1987. Questo significa che negli ultimi 35 anni il bilancio è stato costantemente negativo e nel 2022 si sono raggiunti valori record. In particolare, tra il 2021 e il 2022 le Alpi svizzere hanno perso il 6% del volume totale di ghiaccio. Per la prima volta nella storia, nessun quantitativo di neve è sopravvissuto all’estate, neppure nei punti alpini più alti di rilevazione.
Gli eventi estremi
La manifestazione più evidente del cambiamento climatico è data dagli eventi metereologici estremi che sempre più frequentemente si verificano in tutto il mondo. Il 2022 non ha fatto eccezione.
La Cina ha vissuto la più diffusa e duratura ondata di caldo della sua storia, da metà giugno alla fine di agosto, risultando quindi come la più calda estate mai registrata, con un margine di più di 0,5° C. Quasi tutta la Cina meridionale ha visto le precipitazioni stagionali ben al di sotto della media e 366 località hanno registrato le proprie temperature record.
Il Giappone ha raggiunto il record di 9 giorni consecutivi oltre i 35°C a Tokyo, dal 25 giugno al 3 luglio.
Ondate di calore intenso hanno tormentato anche l’Europa, con numerosi record registrati in varie città e nazioni, tra cui il record di temperatura a giugno a Roma (40,0°C il 27 giugno) e la prima volta nella storia in cui il Regno Unito ha rilevato una temperatura oltre i 40 gradi (il 19 luglio a Coningsby, 40,3°C). Oltre 4600 morti in Spagna, 4500 in Germania, 2800 nel Regno Unito, 2800 in Francia e 1000 in Portogallo sono stati associati all’eccessivo caldo.
Temperature massime da record sono state registrate in Finlandia, Estonia, Tunisia, Marocco, Uruguay, Argentina. Le ondate di calore prolungate hanno portato inevitabilmente notevole siccità nella costa occidentale nord americana, in Francia, Germania, Marocco, Nord Italia, penisola iberica, Iran, Iraq, Kenya, Somalia, Etiopia.
Condizioni che hanno favorito incendi devastanti in Francia, Algeria, Argentina settentrionale, Paraguay e foresta amazzonica brasiliana.
Oltre al caldo estremo, si sono registrate eccezionali alluvioni, soprattutto in Pakistan, Nigeria, Ciad, Sudan, Australia e tempeste di neve da record negli USA.
Qui una mappa interattiva del WMO che mostra più in dettaglio tutti gli eventi estremi verificatisi nel 2022.
Rischi ed impatti
Tutto quanto appena descritto ha come primo impatto quello di mettere a rischio il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile.
Nel 2021 2,3 miliardi di persone hanno affrontato l’insicurezza alimentare e il 10% della popolazione mondiale era denutrita.
L’eccezionale caldo pre-monsonico in India e Pakistan ha portato a un calo dei raccolti che, unito ai divieti di esportazione, ha minacciato e continua a minacciare i mercati alimentari internazionali, rischiando di privare paesi già carenti di ulteriori alimenti di base. L’alluvione monsonica che ha poi colpito il Pakistan ha contribuito a diffondere malattie attraverso l’acqua e ha portato alla morte di 1700 persone e 936000 capi di bestiame. L’ingente siccità affrontata, ha portato il Grande Corno d’Africa ad affrontare crisi alimentari insostenibili e la stessa traiettoria hanno seguito Afghanistan e Siria.
Una conseguenza di questi eventi è stata il dislocamento e lo sfollamento di popolazioni. L’alluvione in Pakistan ha interessato 33 milioni di persone, causando 8 milioni di sfollati, di cui circa 600000 vivono in luoghi di soccorso. 7,2 milioni sono state colpite dalle inondazioni in Bangladesh, mentre lo stato indiano dell’Assam ha visto 663000 sfollati. I cicloni tropicali hanno dislocato oltre 190000 persone in Malawi e 20000 famiglie in Mozambico.
Gli effetti del cambiamento climatico stanno già influenzando interi ecosistemi e lo faranno sempre più. Un esempio è dato dalla fioritura dei fiori di ciliegio in Giappone, documentata dall’801 d.C., che è stata anticipata progressivamente dai cambiamenti, fino ad arrivare alla data record del 2021, ovvero il 26 marzo.
Anche gli ecosistemi montani sono fortemente influenzati, vedendo ridotti i propri bacini idrici e conseguentemente la capacità di coltivazione. Ciò mette a rischio 1,9 milioni di persone che vivono in zone di montagna.
Inevitabile è la perdita della biodiversità, basti considerare che il numero di specie destinate a estinguersi aumenta drasticamente con l’aumento delle temperature globali. Il rischio è del 30% più alto con un riscaldamento di 2 °C rispetto a un riscaldamento di 1,5 °C.
Infine il cambiamento climatico mette a repentaglio gli ecosistemi artici e quelli marini e costieri.
Cosa possiamo fare?
La prima e più immediata operazione è quella di continuare ad osservare, studiare e monitorare il cambiamento climatico e i suoi effetti per poter creare soluzioni che permettano di prevenire disastri legati ad eventi metereologici estremi. Un terzo della popolazione mondiale, infatti, non è coperto da sistemi di allerta precoce.
Tuttavia, per quanto l’umanità possa cercare di adattarsi, il cambiamento climatico in atto è inevitabile e bisogna intraprendere azioni immediate per cercare di limitare le emissioni di gas serra e contenere l’aumento del riscaldamento al di sotto di 1,5 °C.
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